Upskilling e Reskilling nella Formazione

Il mondo del lavoro di oggi si caratterizza per una dinamicità mai vista prima. Una volta era frequente che l’intera carriera lavorativa venisse completata senza necessità di formarsi ed aggiornarsi.

Oggi questo è semplicemente impossibile. La rapidità dell’evoluzione tecnologica, la scomparsa di alcuni ruoli lavorativi e la comparsa di nuove posizioni e nuove esigenze aziendali fanno sì che il lavoratore del Terzo Millennio, per restare al passo con il mondo del lavoro debba essere un life-long learner, costantemente ingaggiato nella ricerca di opportunità di crescita culturale, personale e professionale.

In questo quadro, le opportunità di formazione mediante upskilling e reskilling assumono un ruolo fondamentale. Questi due termini mutuati dall’inglese fanno entrambi riferimento all’acquisizione di nuove competenze lavorative, ma con chiavi di lettura differenti che approfondiremo nei prossimi paragrafi.

Ciò che accomuna questi due paradigmi è che entrambi mirano a colmare il cosiddetto skill mismatch, ossia il gap tra le competenze in possesso del lavoratori e quelle richieste dall’azienda o organizzazione in cui essi operano. Con l’upskilling e il reskilling, il lavoratore ha la possibilità di imparare, rispettivamente, a svolgere più efficacemente le sue funzioni oppure a ricoprire le mansioni proprie di un differente ruolo aziendale, rivoluzionando il suo profilo professionale.

Cos’è il reskilling: definizione e esempi

Il principale significato del termine reskilling è riqualificazione lavorativa: questo genere di formazione mira a dotare il lavoratore di nuove competenze che gli permettano di ricoprire un ruolo differente all’interno della stessa organizzazione, oppure di cambiare radicalmente il proprio settore lavorativo.

Il reskilling (scritto anche re-skilling) si rende necessario quando le innovazioni tecnologiche rendono obsolete certe posizioni lavorative e aprono la strada a nuove opportunità. In azienda, possono avvenire quando c’è l’esigenza di cambiare in modo radicale la strategia d’impresa. In questi casi, la riqualificazione del personale già inserito nel contesto dell’organizzazione permette ai datori di lavoro di puntare sui loro dipendenti più flessibili e talentuosi, senza dover investire risorse per assumere e formare – da zero – nuovo personale.

Le operazioni di reskilling non riguardano solo le competenze tecniche, ma può trattarsi anche di formazione finalizzata al rafforzamento delle soft skills, ossia di quelle abilità trasversali che risultano utili in qualsiasi contesto lavorativo: orientamento al risultato, pensiero critico, capacità di analisi dei dati, creatività, capacità di collaborare e lavorare in team, problem solving, leadership, programmazione e utilizzo di strumenti digitali, strategie di apprendimento, predisposizione alla formazione continua.

Il reskilling è un’opportunità da cogliere al volo anche per i disoccupati e per chi sta cercando di cambiare il proprio percorso professionale: apprendere nuove skills permette loro di acquisire competenze specialistiche che arricchiscono ed impreziosiscono il curriculum, allineandolo con le richieste del mondo del lavoro odierno.

Cos’è upskilling: definizioni e esempi

A differenza del reskilling, l’upskilling rappresenta un upgrade delle competenze del lavoratore. In questo caso, l’obiettivo non è indirizzarlo verso un nuovo ruolo professionale, bensì insegnargli a svolgere in maniera più efficiente le stesse mansioni che già era solito portare avanti. I programmi di reskilling sono incentrati principalmente sul rafforzamento delle capacità digitali, analitiche e organizzative.

Spinte dall’iniezione di fondi garantiti dal PNRR, molte aziende pubbliche e private italiane stanno – finalmente – iniziando a portare avanti radicali progetti di digitalizzazione dei loro servizi e processi. Un esempio tipico di upskilling (o up-skilling) consiste nel formare i dipendenti ad utilizzare queste nuove tecnologie per rendere più produttivo il loro tempo lavorativo. Tanto nel settore pubblico quanto in quello privato, procedimenti che prima erano lenti e farraginosi stanno diventando smart e i clienti/utenti si aspettano risposte rapide ed efficienti. Anche il linguaggio del mondo del lavoro sta mutando: dall’arido “burocratichese” o “aziendalese”, si sta passando a modalità comunicative più immediate e dirette. Infine, con la diffusione della digitalizzazione, gli addetti all’erogazione di servizi devono acquisire competenze anche nella progettazione dei servizi stessi, per garantirne una semplice comprensione e un’immediata fruizione.

Un altro importante trend del mondo del lavoro odierno è la diffusione dello smart working, alimentato anche dall’esigenza di contenere la pandemia di Covid-19. Le competenze richieste per il lavoro agile sono soft skills molto avanzate che rendano il lavoratore efficiente ed orientato al risultato. Lo smart working, infatti, non dovrebbe essere una mera riproduzione delle classiche attività d’ufficio, semplicemente traslate in un luogo diverso. Un vero lavoratore agile deve saper individuare gli obiettivi aziendali, comunicare (tramite strumenti tradizionali o innovativi) coi colleghi, affrontare le criticità e i problemi in autonomia e, soprattutto, avere un forte senso di responsabilità ed etica lavorativa. Tutte queste competenze possono essere oggetto di piani di formazione aziendale ad hoc.

Differenza tra reskilling e upskilling

Come abbiamo visto, upskilling e reskilling condividono in larga parte i destinatari, le modalità di erogazione e le skill trattate. Entrambi, inoltre, sono finalizzati a fornire ai lavoratori competenze specialistiche, sempre più richieste e necessarie per tenere il passo del mercato del lavoro odierno.

La vera differenza tra questi due paradigmi della formazione è l’obiettivo:

  • Con il reskilling, ci si attende che il lavoratore sia in grado di svolgere mansioni nuove, di intraprendere un nuovo percorso professionale, oppure di ricoprire, all’interno della sua organizzazione, un ruolo differente – e solitamente più specializzato – rispetto a quello occupato in precedenza.
  • Con l’upskilling, il lavoratore mantiene la sua posizione lavorativa, ma impara a svolgere le sue mansioni in modi nuovi, più rapidi, efficienti e al passo coi tempi.

Alcune considerazioni conclusive

I lavoratori del Terzo Millennio, proprio come la Regina Rossa del noto romanzo “Attraverso lo specchio” di Lewis Carroll, devono costantemente correre (ossia formarsi, specializzarsi e massimizzare la produttività) per restare esattamente nello stesso punto (ossia, per continuare a svolgere proficuamente il proprio lavoro e/o per mantenere un profilo appetibile sul mercato).

Reskilling e upskilling, in questo panorama, sono elementi imprescindibili tanto per il lavoratore che per l’azienda. Entrambe le parti in gioco hanno infatti interesse ad evitare che le competenze disponibili siano disallineate con quelle richieste dal mercato del lavoro.

Diventa dunque fondamentale, tanto per il singolo che per le organizzazioni, essere in grado di valutare i propri punti di debolezza e le aree in cui è necessaria ulteriore formazione. Una volta individuate le esigenze formative, occorre programmare un piano formativo. I lavoratori potranno orientarsi verso corsi e programmi offerti da agenzie ed enti di formazione, oppure cercare di aprire canali di confronto con professionisti che operano nel medesimo settore, anche all’estero. Le imprese, invece, dovranno pianificare dei piani di formazione aziendale ad hoc, ritagliati sulla loro realtà, erogando ai dipendenti corsi in presenza o tramite piattaforme di e-learning accessibili ovunque e in piena flessibilità. Altrettanto valide sono le sessioni di coaching e mentoring individuali.

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